destionegiorno
Non ti ho mai detto,
mio cuore,
che ho paura d’amare,
d’aprirmi
e, insieme,
guardare
aspettando il sole.
Non... leggi...
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Leggi
nei miei occhi
la passione,
mentre
ascolti
l'ansimare
del mio respiro.
Lasciati inondare
dalla mia linfa... leggi...
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Tienimi tra le tue braccia
fino al sorgere del sole
e prendimi per mano
per le vie del giorno
e baciami ancora al... leggi...
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Quella che sarebbe dovuta essere una tranquilla passeggiata in sup si è rivelata la salvezza di un giovane uomo che annegava. Pagaiavo lentamente avvolta nella pace che da la solitudine del mare aperto quando, al di là del cordone di scogli, sento i primi schiamazzi. La tavola avanza e vedo tre ragazzi neri che si agitano nell’acqua. In molti li osserviamo, e credo che in molti abbiamo pensato che si stessero divertendo in modo rumoroso. Due di loro, agitandosi ancora di più, mi chiamano, dicono cose che non comprendo tranne quei continui "ehi". Sembravano allegri ed ho pensato che la loro fosse una eccessiva manifestazione di gioia, che volessero, forse, provare il sup. Non sapevo cosa altro pensare. Così proseguo incurante. Gli schiamazzi non si placano. Anche quel ragazzo sugli scogli li osserva; anche lui sicuramente sta pensando che il loro è un eccesso di gioia. Ancora qualche pagaiata, la scena oramai è alle mie spalle, poi un "ehi" più carico, sembrava di paura. Mi volto e vedo i due ragazzi che delusi da me si voltano verso la riva, continuando ad agitarsi verso i bagnanti, sempre più lontani dal terzo che continua a giocare all’affogato. Giro la tavola, ancora incerta, mi dirigo timidamente verso il ragazzo oramai rimasto solo che, a tratti, sparisce nell’acqua. Una signora mi urla "vai, sbrigati, è già un pezzo che chiede aiuto, io non posso aiutarlo, non so nuotare!" Le pagaiate sono più veloci anche se la sensazione era di non riuscire a raggiungerlo. Finalmente gli sono accanto. Ancora incredula gli chiedo "Tutto bene? Hai bisogno di aiuto?". Tossisce ancora e sparisce nuovamente nell’acqua. Riemerge gli dico di afferrare il mio braccio. Mi sorride con la poca forza che gli resta. "Attaccati alla tavola, non ti agitare, pensa solo a respirare, ti porto a riva". Pagaio con difficoltà poi vedo che lenta la presa. Lo afferro per non lasciarlo andare, non ha più forze e non riesce a respirare. Urlo, chiedo aiuto. Arriva un ragazzo a nuoto, allungo la pagaia, l’afferra e ci porta verso la riva. Il naufrago diventava sempre più pesante, stava mollando. Chiedo al soccorritore di avvertirmi non appena si tocca. Scendo dalla tavola, in due lo sosteniamo; continua a tossire. È piegato su se stesso, senza forze. Ha un attimo di cedimento. La mia spalla resta bloccata sotto la sua ascella ma così riesco a sostenere meglio quel carico quasi a peso morto. Ma quanto è alto? Quanto è grosso? Una montagna nera. Un vulcano spento. Penso che è stato bravissimo ad attaccarsi alla tavola, senza troppo agitarsi. Saremmo annegati in due. Arriviamo finalmente sulla battigia, si accascia ma riprende a respirare. È salvo! Riprende anche a parlare, nella sua lingua, con i suoi amici. Chiede loro chi sono, mi guarda e sottovoce mi dice "Grazie". Posso, ora, proseguire la mia passeggiata in sup, ma affollata di pensieri. Per il miracolo della vita occorrono nove mesi, per morire una becera scusa... e le cose non sono mai come sembrano: quella montagna nera sembrava giocasse, invece stava morendo!
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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